immagini
testo
Vitigno non iscritto al Registro nazionale delle varietà di vite
Entriamo con questo vitigno nel campo delle uve mitiche o uve meravigliose, così chiamate nel passato per la loro capacità di suscitare meraviglia, divenendo a volte leggendarie. Come scrive la Schneider: “Meglio sarebbe dire le uve bizzarria, perché derivano da uno stato chimerico di mutazioni del colore che si manifesta in più di un vitigno: bianco-nero, bianco-grigio, bianco-rosso, eccetera. Anche le uve bizzarria sono leggendarie, ma ciò che vorrei qui sottolineare è che queste come le altre uve “mostruose” citate rappresentano per gli scienziati un banco di lavoro di grande rilevanza nello studio dei meccanismi genetici alla base di fenomeni come la fertilità, lo sviluppo dei frutti, l’induzione del colore, ecc..”[1] Chiedersi oggi se siano davvero esistite queste uve o se si possano ancora ammirare in natura equivale, nel nostro caso specifico, a raccontare la favola de ‘La volpe e l’uva’ a un bambino, una delle più celebri favole, che nella versione attribuita a Esopo, così racconta:
«Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite,
desiderò afferrarli ma non ne fu in grado.
Allontanandosi però disse fra sé: «Sono acerbi».
Così anche alcuni tra gli uomini,
che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze.»
La favola, tradotta in latino da Fedro, fu successivamente riproposta in rima da Jean de La Fontaine con lo stesso titolo ma con l’aggiunta che la volpe era “di Guascogna” o “di Normandia”, a questa versione seguì la trasposizione spagnola di Felix Maria De Samaniego di fine settecento, fino ad arrivare all’adattamento come cartone animato che ne fece Frank Tashlin nel 1941.
I riferimenti alla favola nel linguaggio comune assumono quasi le stesse caratteristiche del proverbio ad essa associato ‘Fare come la volpe con l’uva’, reagire quindi a una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria, o disprezzando il premio che si è mancato di ottenere. Il proverbio è testimoniato anche nel territorio di Roviano in provincia di Roma: Quanno la olepa no pòtte arivà a l’ua disse ch’era crua.[2]
Qui nei Castelli Romani, e più precisamente nel comune di Marino, i vecchi vignaioli narrano di quest’uva, non in guisa di favola ma, come spesso accade, di testimonianza di vita vissuta e di reale esistenza del vitigno qui schedato come Garba Gorba. Il ribaltamento del costrutto della favola della Garba Gorba vuole che qui la volpe arrivi senza nessuna difficoltà a cibarsi dell’uva, ma è l’uva stessa a giocare un scherzo all’animale: invece di essere irraggiungibile si finge matura, tramite il fenomeno dell’induzione di colore, mentre invece è ancora acerba. Non sarà più la volpe quindi a dichiarare l’uva aspra ma il vitigno stesso a rendersi tale, gabbando (garba) la volpe (gorba). Talmente diffusa quest’uva nel territorio di Marino, secondo i testimoni della nostra ricerca, che ne sono derivate nell’uso orale frasi per apostrofare persone inaffidabili o che cambiano facilmente idea: “Costui è falso come la Garbagorba” oppure “Questo cambia come la Garbagorba”.
[1]Anna Schneider, Mostri o Meraviglie? Uve tra storia e mito, in L’angolo della vigna, OICCE TIMES Rivista di enologia, Numero 52, Anno XIII, Asti, Autunno 2012, p.63.
[2] Luciana Buseghin (a cura di), Buon vino, favola lunga. Vite e vino nei proverbi delle regioni italiane, Perugia, Electa Editori Umbri, 1992, p. 190.
video
Garba gorba