immagini


testo


Aleatico
Vitigno iscritto al Registro nazionale delle varietà di vite
Codice 009

Il vitigno, introdotto probabilmente nella nostra nazione dai Greci, è stato inizialmente coltivato nei vigneti laziali e pugliesi, come segnalato dal Trinci nel 1726 [1], nel testo dove per la prima volta viene identificato l’aleatico come uva da vino. In seguito il vitigno si è diffuso anche in Toscana, Romagna, Campania e Sicilia. L’origine del nome del vitigno deriva probabilmente dalla parola luglio, (iouliatico in greco) mese della sua maturazione.
Ampiamente coltivato in passato nell’area del Viterbese e dei Castelli Romani, per piccole ed esclusive produzioni di vino dolce, l’aleatico è citato dal Mancini insieme ad altri vitigni a bacca rossa coltivati nel Lazio “… e fra i vitigni a frutto rosso il cesanese ed il buonvino nero, ed in seconda linea il nero primotico, il pantastico nero e l’aleatico. E sono appunto questi in verità i vitigni più generalizzati nelle vigne dei castelli.”[2] Lo stesso Mancini suggeriva per l’aleatico una produzione più elevata destinata alla fabbricazione di vini fini o da dessert. Ed è quanto testimoniato dai nostri vignaioli nel corso della nostra ricerca: piccole, preziose e limitate produzioni, che più che per la vendita del vino servivano per regalia speciale. Inoltre in piccole quantità veniva consumato anche come uva da tavola per il suo gradevole sapore moscato e per il suo caratteristico aroma.
Il Belli nel sonetto “Li vini d’una vorta” nel ricordare le gite che i romani svolgevano a Marino nel mese d’ottobre, nell’identificare il Castello Romano così descrive in nota: “Castello distante undici miglia da Roma, rinomato pe’ vini, dando ancora l’aleatico del gusto di quel di Firenze.”[3]
Ed ancora, nelle nostre ricerche si sono raccolte testimonianze nel territorio di Genzano che identificavano un canto d’osteria, poi rintracciato, che nel citare le coltivazioni di aleatico e cesanese le promuove come produzione tipica del territorio, in una strofa infatti così si cantava “… c’avemo il vino bono ‘leatico e cesanese è l’unico mestiere che adopra il genzanese…”.

 

 

[1] Carlo Trinci, L’Agricoltura sperimentale, ovvero regole generali sopra l’agricoltura, coltivazione delle viti, degli alberi, ecc. Lucca, 1726, p. 53.

[2] name=”_ftn2″>[2] Camillo Mancini, Il Lazio Viticolo e Vitivinicolo, Città di Castello (PG), Tipografia S. Lapi, 1888, p. 107.

[3] Giuseppe Gioacchino Belli, Teodonio Marcello (a cura di), Li vini d’una vorta, in Tutti i sonetti romaneschi, NewtonCompton, Roma, 1998, Volume II, p. 54.

video


Aleatico

audio


Canto Genzanese Noi Ce L'avemo Interprete Irene Sabatini