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Bellone
Vitigno iscritto al Registro nazionale delle varietà di vite
Codice 023
Meglio conosciuto nei Castelli Romani con il termine Cacchione, il Bellone è uno dei vitigni coltivati nel Lazio sin da epoche antiche, oggi diffuso principalmente nei territori di Anzio, Nettuno e Velletri. Nella provincia di Roma sono molto diffuse le uve così dette Belli, di cui il Bellone è uno dei cloni dal grappolo di maggiori proporzioni e dalla buccia dell’acino più spessa e consistente. Il Bacci, nel suo testo del 1596, lo associa all’uva pantastica, citata da Plinio.[1] Nell’analisi del 1931 del dott. Tonnarelli-Grassetti così si apprende: “Il Velletrano-Bellone o Cacchione è il capo stipite di una numerosa serie di Belli assai diffusi nelle vigne della provincia di Roma. Ha una vegetazione rigogliosa, ed è assai diffuso per l’abbondanza di produzione, però non costante, con facile adattabilità nei terreni leggeri, profondi e freschi di origine vulcanica.” [2] Il Bellone o Cacchione è un vitigno da sempre associato alla produzione del vino bianco dei Castelli Romani, nell’ambito della nostra ricerca emerge infatti, come indispensabile alla completezza del vino prodotto con Malvasia e Trebbiano “[…] con il trebbiano e malvasia, ce vuole anche un cinque per cento de cacchione, allora il vino è completo, perché glie dà quella robustezza che non l’ha con la malvasia e il trebbiano […] allora quando lo bevi, se sei un intenditore, lo senti: «qua ce sta il cacchione!»”. E così anche in un proverbio laziale, in virtù della buona produttività del vitigno, si ricorda ai vignaioli che: “Chi assai mosto vuò fa, dello Bello nun te scurdà.”[3]
[1] Andrea Bacci, De Naturalis Vinorum Historia, de vinis Italiae et de conviviis Antiquorum, libri semtem, Ed. N. Mutis, Roma, 1596, p. 93.
[2]Arturo Tonnarelli Grassetti, La viticultura e l’enologia nel territorio di Velletri, Tip. Zannola, Velletri, 1931, p. 13.
[3]Luciana Buseghin (a cura di), Buon vino, favola lunga. Vite e vino nei proverbi delle regioni italiane, Perugia, Electa Editori Umbri, 1992, p. 8.
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