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Ancora nella prima metà del Novecento non vi era zona della collina lepina che non accogliesse, specialmente ai confini tra i paesi, piccoli “villaggi” di capanne. Che quelle abitazioni antiche di pietre a secco, rami di castagno e stramma, fossero un segno di indigenza è evidente, ma che rivelassero anche altro, una trama di migrazioni, una originale cultura, un patrimonio materiale e immateriale da conoscere e valorizzare (efficaci saperi naturalistici, ingegnose pratiche costruttive, spirito di frontiera …) è consapevolezza dell’oggi, di noi contemporanei.
Ora che un grandioso assetto paesistico di matrice agropastorale sta scomparendo e un’antica e radicata civilizzazione rischia di uscire dalla storia senza provocare un’elaborazione culturale, il sistema museale dei monti lepini ha promosso una ampia e sistematica documentazione di 11 agglomerati di capanne. La abbiamo definita etnoarcheologica, per rivendicare la rinnovata e sperimentale alleanza tra l’etnografia – centrata sulla contemporaneità delle fonti orali, sull’osservazione partecipante, le ricostruzioni genealogiche, il coinvolgimento dialogico e riflessivo dei ricercatori e nativi – e l’archeologica, focalizzata sulla cultura materiale, sul rilievo puntuale degli insediamenti.

 

Tratto da Villaggi di capanne nei Lepini. Una prospettiva etno-archeologica
a cura di Vincenzo Padiglione (Roma 2012)