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  • Philippe van Brée, Nel covo dei briganti, 1826. Collezione privata.

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La rappresentazione del brigante, veicolata da tante stampe del Pinelli, manterrà nel tempo forza espressiva e successo, anche se sulla sua scia e con scarto di pochi anni una diversa immagine si impose all’attenzione della comunità artistica. Il personaggio in costume di tante scene di genere vi appariva trasformato in un emblema dell’eroe moderno ed universale che si ribella ad un fato tragico, ad un società tirannica. Questo sviluppo espressivo è stato sicuramente favorito da una precisa circostanza storica: la deportazione nelle prigioni di Termini a Roma, nel 1819, di cinquanta famiglie di Sonnino, accusate di brigantaggio. Artisti stranieri, come Robert e Michallon, ospiti allora dell’Accademia di Villa Medici, ebbero autorizzazioni e disponibilità per trattare i carcerati come veri e propri modelli. Da quell’incontro, dal paradosso del fare il ritratto non ad un grand’uomo ma ad un prigioniero, nacquero opere rilevanti che, destinate ad un pubblico di elite, diedero fama internazionale agli autori e al soggetto. Emerse un’immagine nuova e pittorica (a sua volta riprodotta in stampe per i tanti viaggiatori) del brigante, in cui i gesti antichi e il costume locale lasciano questa volta trasparire caratteri individuati e intensità passionali, miserie della vita e sogni di libertà. Nel complesso un potente dispositivo per alimentare l’immaginazione.

 

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Il brigante romantico