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Il Museo della terra persegue come propria missione la salvaguardia attiva del patrimonio culturale locale. Lo fa non soltanto conservando il lascito che Luigi Poscia ha inteso affidargli. Mentre il patrimonio materiale custodito dal Museo può essere oggetto diretto di interventi di tutela (tesi alla sua protezione e conservazione) e di  valorizzazione (tesi a garantire conoscenza e fruizione), quello immateriale, fatto di saperi e saper fare, competenze, abilità performative di varia natura, pone delle sfide. I beni del patrimonio immateriale sono beni volatili, effimeri. Per essere fruiti devono di volta in volta essere rieseguiti. Di essi può rimanere traccia (documentazione audiovisiva), ma la cosa da proteggere non è tanto il documento, bensì l’abilità di chi ha eseguito quella determinata performance che sul supporto digitale o di altra natura è stato fissato (di chi ha composto delle poesie in ottava rima, di chi ha suonato uno strumento musicale di natura tradizionale, di chi ha intrecciato un cesto). Impossibile tutelare il bene immateriale come fosse un reperto archeologico. Si può conservare il prodotto di una performance, non l’abilità in sè, che l’ha prodotta e che vive la vita di chi ne è portatore. Il solo modo che il Museo etnografico ha per uscire da questa impasse è  quella di creare condizioni favorevoli all’esercizio e alla dimostrazione di determinate abilità, alla loro conoscenza, di creare un pubblico per queste abilità, di contribuire alla formazione di una competenza diffusa.