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A Latera la “terra” ha plasmato i modi del lavoro, le forme della produzione, i rapporti sociali, l’immaginario. Lungo tutto il percorso allestitivo del Museo vanno in scena oggetti e storie legate al lavoro contadino e alla vita quotidiana della comunità laterese negli ultimi cento anni. Sono oggetti e storie che riguardano attività come la cucina, la coltivazione della vite e dell’olivo, la canapicoltura, la pastorizia, i mestieri artigiani del fabbro e del bottaio. Ma nel passato di Latera terra ha significato anche altro. Qualcosa di meno evidente, ma di grande importanza pratica e simbolica: un sottosuolo ricco di risorse naturali (il paese sorge all’interno di una grande caldera vulcanica) al centro di tentativi – più o meno riusciti – di sfruttamento cha vanno dal XVI secolo ai giorni nostri. È il passato minerario di Latera – un passato fatto di investimenti, fatto di lavoro, fatto di proteste, fatto di sogni e di incubi – che viene raccontato nel copioncino della passeggiata/racconto (scaricabile qui) realizzata nel 2017 nell’ambito del progetto AGER voluto dal Sistema museale del lago di Bolsena e realizzato dalla Banda del racconto in collaborazione con il Museo della terra, il Comune di Latera e gli studenti del Master di I livello Unitus in Narratori di comunità.
Ideale punto di partenza dell’itinerario unisce il borgo di Latera, via Vittorio Emanuele, alla vecchia miniera di zolfo, appena fuori dal paese, passando per le tre chiese.

 

Latera: Memorie dal Sottosuolo

STAZIONE 1

A  Latera  parlare di terra vuol dire anche e soprattutto parlare delle cave e delle miniere. Il sottosuolo e ciò che ne deriva informa i modi del lavoro, le forme della produzione, i rapporti sociali e, di conseguenza, ha plasmato gli eventi che hanno caratterizzato la storia  antica e recente dei lateresi.

Dal Fortis: Il nome Laternum somigliante all’odierno Làtera potè venire al paese dal verbo “lateo” perché veramente nascondesi tra i colli agli occhi di chi passava per la via consolare vicina.
Non sarebbe mal fondata la congettura di chi pendesse a fissare in questi contorni l’antica città etrusca di Statonia, poi divenuta capitale di una Prefettura nei tempi di Augusto.

I lateresi chiamavano quelli che lavoravano in miniera I Mineranti, come fossero una cosa disprezzativa. Dicevano proprio così: mò c’avemo pure lì Mineranti. Ma era l’invidia, che li faceva parlare. I minatori erano visti come privilegiati perché la miniera era una risorsa e quelli che ci lavoravano erano pagati bene per l’ epoca. Però il lavoro era pesante. Pe’ la fatica, pe’ la riscaldazione della bocca, a quelli che facevano sto lavoro j’erano cadute tutte le dente. Ma c’avevano bisogno e c’annavano, poi quello che succedeva succedeva. (F. Ginnaneschi, intervista)

 

STAZIONE 2
Franco Ginanneschi – intervista
Estratto da “La Commedia del Borgo”

Un problema che ha sempre assillato i lateresi è quello del transito di mezzi, più o meno pesanti e meccanizzati, che per trasportare i materiali estratti dalle miniere verso i mercati erano costretti a transitare dentro le vie del centro storico di Latera.
È nel centenario dell’anniversario dell’Unità d’Italia, durante il Consiglio Comunale che moltissime persone si presentarono al cospetto dell’assemblea consigliare per protestare contro il passaggio dei camion.
Trattati male dalle autorità, la sera stessa improvvisarono le barricate. Seguirono denunce e processi ma, soprattutto a seguito di questo evento, venne costruita una strada fuori del paese denominata “Strada Malugani”. (Dal libro Latera 1944-2004 a cura dell’Amministrazione Comunale)

Il discorso de le camion e del borgo se riferisce al discorso della miniera delle Puzzole. Sta zona era sfruttata dall’Italcementi che portava via tutto il materiale. Ste camion però passavano in mezzo al paese, al borgo. E qual è il problema? Che la via del borgo sotto so’ tutte cantine in fila, una accanto ad un’altra e succedeva che qualcheduna franava, cascavano le pezze. E anche le case in qualcuna se presentava qualche spacco. E ‘l paese nun ne poteva più e se andava a reclamà in comune ma al sindaco nun è che je ‘mportava. Che successe allora? Che una notte, anzi era prima sera, perché io ce so’ stato te lo posso dì, tutte quelle del borgo, cominciarono a chiude’ la strada, co’ tutto quello che trovavano: e i camion se dovettero fermà. Pe’ tutta sta cosa so’ dovuti intervenì i carabinieri. E i Carabinieri chiunque si rifiutava de sgombrà la strada li segnorono e così tutti in caserma e dalla caserma tutti a Viterbo al tribunale. E lì successe la tragedia. Tutte ste donne, tutte grandi, iniziarono a piagne’. Chi se sentiva male de qua, tutte co’ la corona in mano. Chi sveniva da una parte chi da un’artra. Ce l’hai presente quelle che vanno alla fucilazione? Mbè pareva così. Ma sto giudice, namo là uno alla volta, però ce guardava co’ una faccia rilassante. Ma lì c’è stata una mano pe’ i lateresi. Al tribunale c’era er sor Matteo (Jacarelli), e allora ce passò la paura. Finì a quel mò, nun successe più niente.

Ma qui le fonti orali cozzano con la verità storica raccontata nella “Commedia del Borgo”

Avvocato – State tranquilli, adesso parlo un attimino con il giudice, stiliamo la sentenza e comunque in carcere non vi ci manda nessuno!
Pretore – Nel nome del Popolo Italiano, visti i fatti… OMISSIS…Visti gli articoli 654,655,657,658,659,660 del codice penale… Viste le testimonianze… OMISSIS… condanna i sudddetti a otto mesi di detenzione con la condizionale, a 38.000 lire di multa e alla interdizione dei pubblici impieghi per cinque anni ed al non godimento dei diritti civili per dieci anni.
Maria – Pe’ na seduta davante a casa sua, tutto sto popò de roba c’hanno dato.
Checchina – C’hanno fregato con l’OMISSE! Ma la strada nova l’hanno da fà, peicchè sennò, ricominciamo.

 

STAZIONE 3
Archivio di Stato di Roma, Camerale III, busta 1237
Secondo lo studio di Nazzareno Poscia, l’attività mineraria a Latera, è documentabile già dal 1500

Si concede licenza all’Illustre et Rev.mo Mons. Fedinando Farnese Vescovo di Parma, et all’Illustre sig. Mario Suo fratello, che possino cavare da Latera, tutta quella quantità di solfo che vorranno, e venderlo a chi parerà, eccetto, che a parte de infedeli, e de’ nemici di Santa Chiesa, con questo che ogni volta, che cavaranno detto solfo debbiano fare, che il notaro di detta terra se ne roghi della quantità e del prezzo che lo venderanno, acciò ne possimo pagare la tratta alla Rev.da Camera a ragione de diece per cento di quello che ne cavaranno, e di questo pagamento si è obbligato.

Roma, al dì 8 marzo 1582

 

STAZIONE 4
LA MOFETA dal SAGGIO DI BREISLAK E INTERVISTA A FRANCO GINANNESCHI

Di notte sollevasi talora da quella da quella sorgente una mofeta , la quale sorprende qualche animale, che sovente si ritrova morto vicino ad essa.
La Mofeta… Basta scavare a pochi piedi di profondità per rinvenirla.
Solo un fuoco ostinato e gagliardo o la tramontana impetuosa riescono a domarla e a rendere accessibili quei penetrali.
L’ingresso della Mofeta è annunziato da una blanda, sensazione di tepore, che si risente nelle gambe.
Non vi è pericolo alcuno ad immergirvisi fino al mento, purchè non venga respirata.
Produce bruciore negli occhi, un’odore forte, piccante quasi zolfureo, ed un sapore subacido non disgustoso. I polmoni ne risentono grave incommodo.
Per verificare il limite di altezza tra la Mofeta e l’aria normale si usava buttare nella galleria un fascetto acceso di stoppa, foglie secche e carta. La fiamma si spegneva subito mentre il fumo si diffonde sulla superficie segnando il confine. Vedesi allora, che questa non è mai tranquilla, e la di lei superficie sempre ondeggiante mostra il contrasto in cui si ritrova coll’atmosfera.

E c’è una storia: quanno so’ venute alcune persone competenti, ingegneri etc, per valutare la sostanza della miniera, dovevano entrare dentro la miniera. E il mi babbo, che j’avevano dato un po’ de carica, disse a Remo che dovevano entrà. Ma l’operaie nun c’erano. Quando so entrati lì per lì tutto bene, ma poi il mi babbo le portò nelle zone della miniera dove c’era più gas. E che succede? Che Remo, forse pe dimenticanza, ha spento sto motore. Allora l’esperto ha sentito un odore forte e ha acceso una candela, che se le portavano sempre appresso, l’ha abbassata e la fiammella iniziava ad appinzare e allora lui disse: ″a regà fuggimo il prima possibile che qui c’è ‘l gas″. E quando usciro Remo nun c’era più, era ito via, che se nun c’era l’esperto erano morti tutti.

 

STAZIONE 4
Dal libro di Camporesi e ancora dall’intervista a Franco Ginanneschi
Il mondo desolato delle montagne metallifere si anima talvolta di strane e indefinibili presenze umane, di gente dalla brutta cera, dall’aspetto tribolato e malsano come se un segreto rapporto genetico legasse le terre aride ricche di minerali ai suoi sparuti abitatori…

AH, se te la racconto… Questa è proprio da filme, se te la racconto… Pare che c’erano delle cose dentro a sta miniera, delle apparizioni. Ma nun ce se credeva, era una cosa detta così. Il nonno Andrea, mi nonno, come operaio però annava a fa pure le turne de notte, perché nun è che la miniera se poteva lascià. De notte però era vietato entrare, a parte i Carabinieri. Quella notte il nonno, che dormiva nella galleria che se chiamava La santa Barbara che era l’unica meno soggetta al gas, siccome aveva le calze bucate, ad un certo punto ‘ntese qualcosa che ‘cchiappava sto dito e tra sé pensò Madò che tope grosse, e fece una botta col piede ma poi se rentese de ‘cchiappà. A un certo punto accese l’acetilene e allora racconta che vide tre donne coll’abito talare e lui disse proprio ste parole, lo racconta sempre : “Gesù, Giuseppe, Maria aiutateme, questo è il momento.″ Ma queste hanno lasciato il nonno e so entrate dentro la miniera. E il nonno ha raccontato che ha imbracciato il fucile e ha sparato dentro sta galleria a vanvera. Poi sta cosa successe al mì babbo, poi allo zì Clemente e Peppe Ciuco riccontò guasi uguale. Lue sentì de scricchiolà  le tavole e pensò arisò sti rompi cojoni de li carabinieri, io so stracco vojo dormì. E invece no. Pure lue vide ste tre persone, che je passarono davanti e so entrate in miniera. Allora: verità? bugia? superstizione? La verità nun s’è mai saputa.

 

STAZIONE 5
Alla Madonna della Cava di Franco Ginanneschi

Dal millequattrocento guardi a noi
Dolce Madonna con il tuo bambino
E sempre ci sentiamo figli tuoi
Seguendoti sicuri nel cammino.
Dipinta fosti sulla terracotta
Forse da un pastorello a TE devoto
Soltanto TU ci puoi indicar la rotta
Noi ti adoriam da tempo ormai remoto.
Tu da lassù sotto l’azzurro velo
Proteggi sempre i tuoi diletti figli
Se un giorno ci vorrai lassù nel cielo
Salvaci dal peccato e dai perigli.
Il pellegrin devoto che qui passa
S’inchina e toglie il suo cappello
Dolce Madonna con il Bambinello
Accogli nel tuo cuore ogni preghiera.
A te io dono il mio pensier più bello
E lieto io sarò venuto a sera
Se alla Madonna della Cava
Avrò rivolto una mia preghiera

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I pericoli della Miniera
La vicenda del borgo
Le apparizioni in miniera