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Riofreddo si caratterizzava ancora nel XX secolo per una importante presenza di artigiani, di gran lunga superiore agli altri paesi della zona, e anche per questo motivo tale categoria era particolarmente rilevante dal punto di vista economico. Per la loro posizione sociale -‘erano una categoria più evoluta perché non stavano sotto padrone’-, per il fatto che non si dedicavano alla produzione del cibo e per la loro indipendenza e autonomia produttiva erano considerati un ceto sociale privilegiato: ‘ci stavano le distanze tra artigiani e contadini e pastori’. Vi erano sarti, calzolai e barbieri, scalpellini e mastri muratori, falegnami, impagliatori ed ebanisti, pellicciai, tettaroli, fabbri e maniscalchi, sellai o fabbricanti di basti; in ambito femminile, sarte e ricamatrici.
Nell’archivio parrocchiale del 1924 sono documentati a Riofreddo 30 calzolai, 28 muratori, 17 sarti, 6 fabbri, 5 falegnami, 5 scalpellini, 3 sellai. Gli artigiani lavoravano per tutti i paesi della zona e si dividevano la clientela, ‘dove c’era da lavorà, andavi’. Molti di loro, la domenica, con le bisacce, con un somaro, a piedi, o con il treno andavano a consegnare i prodotti ai clienti dei paesi vicini e prendevano nuove commissioni e le misure necessarie.
Alla bottega dell’artigiano si raccoglievano tante persone: era un luogo di incontro importante, dove circolava la comunicazione e si discutevano gli avvenimenti del paese. Gli artigiani, in genere, non possedevano la terra, ma fabbricavano i loro prodotti per i contadini e per i pastori in cambio di frumento, granturco, patate, fagioli, formaggio, legna e carbone. Soldi ne giravano pochi, ma chi poteva pagava in denaro; per i creditori si teneva un “quaderno”.
Il lavoro finì per tutti quando si diffusero i prodotti confezionati di fattura industriale: piano piano gli artigiani chiusero bottega e trovarono un lavoro da dipendente.