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Vitigno non iscritto al Registro nazionale delle varietà di vite
Con il termine “vitigni tintori” si indicano quelle piante che la Schneider descrive come “rosseggianti in primavera, di un verde violaceo più o meno intenso con il progredire della stagione e di un bel rosso fuoco a fine estate. Si tratta di vitigni la cui uva ha polpa più o meno intensamente colorata, non solo negli strati più periferici accanto alla buccia ma in tutto il suo spessore.”[1]
In Italia questi vitigni vengono chiamati localmente tenjin, teinjurin o tintorelli, in Francia sono noti come teinturiers o tachants, mentre in Spagna si conoscono come nigron o uva tinta, e sono serviti da sempre ad arricchire i vini poco carichi di colore, e finanche a trasformare i vini bianchi in vini rossi, come ci testimoniano anche i nostri intervistati. Inoltre l’uva di questi particolari vitigni veniva in passato utilizzata come colorante per stoffe o come medicamento per rimarginare piaghe e ferite.
Ma a differenza dei vitigni Francesi, come ancora ci suggerisce la Schneider “In Italia, infine, ha preso probabilmente origine un locale vitigno “tintorio” diverso da tutti quelli fino ad ora citati, con uve a grappoli piccoli ed acini rotondi intensamente colorati; una pianta graziosa, poco invadente, deliziosamente decorativa in un giardino.”[2] La descrizione sembra coincidere perfettamente con le descrizioni e le piante riscontrate nelle nostre ricerche nei vigneti sul territorio dei Castelli Romani.
[1] Anna Schneider, Le uve dix fois colorées, in L’angolo della vigna, OICCE TIMES Rivista di enologia – Numero 53, Anno XIII, Asti, Inverno 2012, p. 63.
[2] Anna Schneider, op. cit., p. 63.
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Tintorino